Ricerca traslazionale con la terapia genica

cure sindrome angelman - ricerca traslazione con terapia genica

Iniziamo specificando che lo studio con un modello animale (fino a tempi recenti) è sempre stato il topo, sul quale studiamo la correzione genica o la tossicità transgenica; ma ci sono grandi potenziali anche nell’utilizzo di altri modelli animali più grandi, come il primato non umano e le scimmie per studiare la sicurezza e il ridimensionamento della dose, fino ad arrivare poi all’uomo, sul quale studiamo la sicurezza del farmaco e seguiamo i biomarcatori.

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La vera sfida è la distribuzione a livello globale in tutto il cervello per ottenere l’effetto desiderato, e il metodo di somministrazione è molto importante. L’approccio iniziale prevedeva la somministrazione endovenosa, ma ciò richiedeva al vettore (veicolo del gene UBE3A) di attraversare poi la barriera ematoencefalica. Un altro approccio, che è stato sviluppato per alcune malattie neurologiche è neurochirurgico, consiste nell’iniezione del vettore del gene direttamente nel cervello attraverso siti di iniezione multipli. Questi approcci, però, non sono molto efficaci e rilevanti per la sindrome di Angelman. Quindi stiamo considerando un approccio diverso per iniettare il vettore nel fluido che bagna la colonna vertebrale, attraverso l’area lombare oppure nell’area più vicina al cervello in cui risiede il liquido cefalorachidiano (csf), cioè nel ventricolo cerebrale o nella cisterna magna.
Il grafico a torta riassume il conteggio degli studi di terapia genica che si basano sull’uso di adeno-virus associato (AAV) fornendo vettori virali mediante diverse vie di somministrazione. Si vede che la maggior parte dei diversi approcci utilizza un’iniezione in questa cavità chiamata cisterna magna che si trova nella parte inferiore del collo o direttamente nel cervello.

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In questa slide, troviamo un vettore scoperto circa 20 anni fa, chiamato AAV9, che, quando iniettato nel sangue, è in grado poi di attraversare la barriera ematoencefalica (BEE). Si vede poi l’immagine di un esperimento in cui questo vettore virale è stato iniettato nel sangue di una scimmia e, seguendo poi la distribuzione di quel vettore nel tempo (a 24 ore e tempi più lunghi), si può vedere che si distribuisce principalmente a livello del polmone e nel cervello, ma anche un po’ nel midollo spinale; quindi, quello che penetra nella BEE è marginale.
Come si traduce questo nel trasferimento effettivo del gene e nella sua espressione? Questo è stato dimostrato in un modello di cane usando un’iniezione endovenosa. Si vedono sezioni istologiche di un cane che ha ricevuto un vettore per via endovenosa; in rosso ci sono le cellule con il vettore che sono, quindi, quelle che esprimono il gene UBE3A. C’è però poco rosso a livello della corteccia frontale, un po’ intorno al cervelletto, ma risulta che alcune cellule del midollo spinale sono accessibili al vettore e questi sono i motoneuroni.

La somministrazione del vettore AAV9 per via endovenosa è stata utilizzata per l’atrofia muscolare spinale di tipo 1. Questo ci fa sperare che un approccio di  per una malattia neurologica possa davvero avere successo.

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Ma per avere effetto sulla sindrome di Angelman bisogna far arrivare il vettore in tutto il cervello. Allora sono stati studiati altri modi per ottenere il vettore nel fluido che bagna il cervello nel midollo spinale, il liquido cefalorachidiano. Un approccio è quello di iniettare il vettore nel csf con una puntura lombare. L’altro approccio che è stato illustrato nell’esperimento precedente (nel maiale) è quello di iniettare il vettore nella zona occipitale del cervello, in quella che viene chiamata cisterna magna, che è la zona più vicina al cervello, modo migliore per portare il vettore al cervello.

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In questo esperimento abbiamo iniettato un vettore AAV9 nello spazio lombare delle scimmie o nella cisterna magna per vedere dove andava il vettore e quale sarebbe stato l’approccio migliore per avere una buona distribuzione del vettore nel cervello.
In questo grafico, vediamo sull’asse y la presenza del genoma del vettore in vari tessuti di scimmie che hanno ricevuto il vettore mediante infusione lombare (in blu) o nella cisterna magna (in rosso). Vediamo una distribuzione migliore nel cervello quando il vettore viene somministrato direttamente tramite la cisterna magna. Seguendo la distribuzione nella scimmia, si può notare che, diversamente dalla somministrazione endovenosa, la distribuzione è elevata nel cervello soprattutto nelle prime 24 ore e scende a livello del midollo spinale.
Quindi, per l’AS è preferibile come via di somministrazione la cisterna magna.

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A livello di sicurezza o tossicità, è stato incredibilmente tollerato nelle scimmie e, per questo, introdotto in un diverso numero di studi clinici. Ma una recente scoperta è che, alcuni vettori possano causare la tossicità di un nervo spinale, presente lungo il midollo spinale, proiettandosi al nervo periferico in uno spazio anatomico chiamato ganglio della radice dorsale. Quello che abbiamo scoperto è che, quando iniettiamo il vettore nel liquido spinale cerebrale delle scimmie, a seconda della circostanza, vediamo l’infiammazione di questi nervi. Questo lo abbiamo studiato in centinaia di scimmie ed è stata una scoperta coerente ma la domanda è se possa avere qualche correlazione clinica successiva. Fortunatamente sembra non ci siano rilevanze cliniche da segnalare, tuttavia c’è un caso di un giovane ragazzo con una forma accelerata di SLA che ha ricevuto un AAV9 nello spazio lombare e poco dopo ha sviluppato quello che viene chiamato dolore neuropatico. Ma quando pensiamo di iniettare il vettore virale nel liquido cerebrospinale per i pazienti Angelman dobbiamo prestare particolare attenzione a questo tipo di sicurezza.

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Nel nostro laboratorio abbiamo attuato delle possibili strategie per prevenire ciò. Questa è l’immagine di un neurone sensoriale che riteniamo sia danneggiato dalle alte dosi di vettore ed è il ganglio della radice dorsale. Quindi, quando un vettore viene erogato nel liquido cerebrospinale, viene assorbito attivamente da queste cellule e generalmente l’operazione ha buon esito, ma se il transgene stesso ha qualche tossicità la proteina che viene espressa potrebbe sovraccaricare il sistema interno di questi neuroni e potrebbe, di conseguenza, portare alla degenerazione. Quindi, quello che abbiamo scoperto è che la presenza di eventuali problemi di sicurezza è una funzione del transgene: alcuni sono meno tossici, altri lo sono di più.

Ciò che è stato affascinante della genetica è che la sua stessa complessità ha effettivamente prodotto un certo numero di nuovi approcci per seguire anche percorsi paralleli che non sono disponibili in altri disturbi monogenici. Ad oggi abbiamo diversi programmi che usano strategie terapeutiche diverse per l’AS.

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Un approccio per la sindrome di Angelman prevede di usare approcci molecolari o interventi genetici per ridurre l’espressione dell’RNA antisenso che sopprime l’espressione del gene UBE3A paterno. In aggiunta a questo, si aggiunge una copia normale del gene UBE3A e questa è la terapia genica con AAV di cui parlavamo precedentemente.

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Questa slide illustra diverse strategie per valutare il fenotipo o le anomalie di questi animali.

In termini di supporto ad un approccio di terapia genica, dobbiamo riconoscere che ci sono diverse isoforme di UBE3A (1, 2 e 3), e la domanda è: quale isoforma vorremmo esprimere? Non abbiamo ancora deciso quale potrebbe essere la migliore o potremmo essere in grado di sviluppare un approccio per esprimerne più di una. Ma i nostri esperimenti iniziali usavano un vettore AAV che esprimeva UBE3A nell’sioforma 1 e 2. Questi approcci valutavano l’esito della terapia genica quando erogata direttamente nel ventricolo dei topi, che sono stati poi analizzati mediante una varietà di diversi test. La speranza è che si possa ottenere una qualche reversione delle anomalie neurocomportamentali.

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Questo è un riassunto del nostro lavoro iniziale, dove abbiamo l’isoforma 1 e l’isoforma 2, in cui abbiamo analizzato diversi fenotipi (es. iperattività, costruzione del nido, lunghezza del passo, coordinazione motoria) a diverse dosi. Ogni volta che c’è il verde, vuol dire che c’è stato un miglioramento, mentre ogni volta che c’è il rosso, c’è un leggero peggioramento. Finora i nostri dati indicano che se dovessimo utilizzare un solo isoforma, questo potrebbe essere l’isoforma 1.
Ora passiamo al passaggio successivo, che consiste nel prendere il nostro miglior vettore e valutarlo nei primati non umani.

I primati non umani non hanno l’AS ma il motivo per cui sono così utili per noi è perché è la migliore simulazione rispetto all’utilizzo di qualsiasi altra specie, sia per le possibili risposte avverse, sia per la distribuzione del vettore nelle cellule a cui era diretto. Quindi, crediamo davvero che i primati non umani siano un modello perfetto per gli esseri umani. Per questo motivo, abbiamo iniziato alcuni studi piloti.

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Questo dimostra, in animali in cui il vettore è stato iniettato nella cisterna magna, che la distribuzione del vettore nei vari tessuti è abbastanza buona. Questo correla con una buona espressione dell’mRNA di UBE3A. Il gene era stato trasportato nei diversi tessuti dove c’era un certo livello di espressione, pur non sapendo esattamente il numero di cellule trasfettate. Ma quello che ci siamo chiesti è se c’è o eventualmente ci sarà una certa tossicità a livello dei neuroni spinali. Per ora questo modello non dimostra alcun tipo di tossicità.

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La domanda è se stiamo ottenendo una distribuzione sufficiente del vettore in modo tale da esprimere abbastanza il gene così che sia terapeutico. In questa slide si vedono tanti puntini diversi nel cervello del topo, che corrispondono all’espressione del gene in molti neuroni, i quali hanno assorbito il vettore quando questo è stato iniettato nel liquido cerebrospinale. Quando facciamo lo stesso esperimento nelle scimmie, solo in alcuni neuroni siamo in grado di rilevare l’espressione del transgene; questo approccio è chiamato ibridazione in situ. Ciò suggerirebbe che solo una piccola percentuale di cellule sta effettivamente esprimendo il gene. Ma siccome eravamo dubbiosi sul metodo usato per rilevare l’espressione del gene e la sua sensibilità, abbiamo proseguito con un lavoro laborioso in cui abbiamo preso i tessuti cerebrali, abbiamo separato i singoli nuclei dei neuroni e abbiamo testato nei singoli nuclei la presenza o meno di RNA. Siamo rimasti positivamente sorpresi dal fatto che fino al 60% delle cellule ha effettivamente un vettore all’interno e molte, se non la maggior parte delle cellule, stanno esprimendo l’RNA di UBE3A anche se a bassi livelli.
Quindi, ad oggi i nostri dati di terapia genica su scimmie suggeriscono che otteniamo una distribuzione abbastanza efficiente del vettore e, di conseguenza, l’espressione dell’RNA anche se a bassi livelli che sfuggono ai metodi tradizionali di rilevamento.

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Tuttavia, stiamo anche collaborando con diversi partner sperimentando approcci paralleli. Ci si basa sulla creazione potenziale di una versione secreta di UBE3A, che potrebbe quindi essere assorbita da una cellula, ed essere poi secreta da quella stessa cellula ed endocitata dalle cellule limitrofe. Quindi, quello che stiamo facendo ora è lavorare in un programma collaborativo basato sul lavoro di ricercatori che hanno cercato di modificare la proteina UBE3A in modo che avesse una parte da secernere e, dall’altra, una parte da essere assorbita dalla cellula.

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Un altro approccio di cui vorrei parlare è il “genome editing” utilizzato per abbattere permanentemente l’RNA antisenso. Con questo approccio, quello che abbiamo fatto è stato utilizzare vettori AAV per introdurre CRISPR/Cas9 in una porzione prossimale a UBE3A ed inattivare permanentemente l’UBE3A-antisenso.

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Questo approccio è stato un successo: la parte sinistra della slide mostra il cervello dei topi che hanno ricevuto il costrutto modificato, in cui viene mostrato, con una banda nera, la presenza della proteina che è stata riattivata. E nei tessuti si vedono delle macchioline marroni indicative della riattivazione permanente dell’espressione del gene UBE3A.

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Ci si è chiesti se questo approccio potesse poi avere delle effettive ripercussioni sulle anomalie comportamentali dei topi. E quello che hanno dimostrato è che i topi knock out (KO; ovvero mancanti dell’espressione di UBE3A) trattati con l’UBE3A-antisense acquisivano un miglioramento nella rotazione, nella costruzione del nido e nella sepoltura del marmo rispetto al topo KO non trattato.

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Termino la mia presentazione con un lavoro preliminare circa un nuovo approccio terapeutico interamente finanziato da FAST. Tale approccio si basa su un lavoro pioneristico che consiste nell’utilizzo di RNA antisenso in grado di mediare un meccanismo di interferenza e, quindi, impedire l’espressione dell’RNA antisenso paterno. La differenza qui sarebbe, piuttosto che fornire ripetutamente l’ASO, fornire un vettore AAV che sia in grado di esprimere un RNA costantemente presente per inattivare l’espressione degli antisenso e riattivare, così, l’espressione di UBE3A.
Ci siamo focalizzati sui microRNA, ovvero su piccole molecole a RNA che possono interferire con l’RNA antisenso espresso dall’allele paterno.

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Abbiamo poi condotto una serie di esperimenti in vitro per lo screening di microRNA contro diverse regioni del genoma e abbiamo scoperto, utilizzando sempre il modello murino, che questo sistema è in grado di inibire l’espressione dell’UBE3A-antisenso ed attivare l’espressione del gene paterno.
Nella sezione istologica (parte dx della slide) del cervello di topi trattati e non trattati, si osserva che, differentemente dai nostri studi di editing, qui vediamo cellule con piccoli spot marroni e, quindi, un’espressione di RNA non abbastanza forte da raggiungere la riattivazione del gene.

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